Come lo smart working degli altri ha cambiato il mio lavoro in libreria (storia di vita vissuta).
Ho chiuso la libreria per il lockdown dal 13 marzo al 21 aprile. Durante la quarantena ho letto molto, dispensato consigli librari spesso non richiesti, e ho consegnato libri molto interessanti a un numero sorprendente di lettori forti. Con la riapertura ho modificato l'orario al quale ero abituata, soprattutto a causa delle ordinanze dell'amministrazione capitolina sulle fasce orarie di apertura dei negozi di vicinato, riassumibili così: adesso apri, adesso no, chiudi 'n attimo, apri a metà, ecco così, no è troppo tardi vattene a casa.
Dalla fine di maggio ho trovato però una comfort zone nell'aprire bookish dalle 11.30 alle 19 (mangio cose improbabili nascosta dietro al computer e fingendo di non masticare dietro la mascherina se entra qualcuno). Se prima – e per prima intendo i cinque anni precedenti – gli orari di punta in libreria erano sempre a fine giornata, cioè quando le persone che lavorano passano a prendere qualche libro prima di rientrare, adesso che in zona molti sono in smart working ho la libreria piena in tarda mattinata, o magari nel primo pomeriggio, mentre si svuota (e si svuotano anche le strade) dopo l'ora del tè (o dello spritz).
La libraia non può lavorare da casa: è un lavoro che ha senso fare proprio qui da bookish, parlando con la gente, lavorando tra gli scaffali, mostrando i libri. Ma lo smart working degli altri ha cambiato anche il mio lavoro. Io arrivo in libreria più tardi, lavoro senza pause magari buttando un occhio a Neon Genesis Evangelion mentre studio, e torno a casa a un orario decente.
Non so dire se lavorare da casa è un vantaggio o uno svantaggio per tutte le altre persone, e è troppo presto per dire se lo sia per me. Quello che so è che la libreria esiste, si adatta, non solo sopravvive ma diventa uno spazio importante del territorio fisico e pure di quello virtuale. Forse le librerie indipendenti sono i nuovi fringuelli di Darwin.
Guarda, vivo esattamente dall'altra parte di Roma, ma il mio libraio indipendente di quartiere mi ha raccontato una storia simile, di rapporti tenuti, ritrovati e creati, di aiuti inaspettati e di un quartiere che si è stretto intorno a lui. Di tempi diversi e di abilità improbabilmente acquisite. Mi viene sempre in mente un verso di Giovanni Lindo Ferretti: "Viaggiano i perdenti più adatti ai mutamenti". In bocca al lupo tantissimo.